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Il chimbao è passata pochi anni fa come la montagna ( vulcano) più alto se misurato dal centro del pianeta. Si tratta comunque di un 6310 mt sul livello del mare, costantemente ricoperto di ghiaccio è una cima abbastanza ambita e non impossibile dal punto di vista tecnico.

Con gli altri componenti abbiamo deciso di prendere una guida, pare sia obbligatoria… Ma comunque necessaria se non ci si vuole perdere nella ricerca della via giusta. Arriviamo al rifugio Carrel con il pulmino della guida e  girovaghiamo tra i 5000 e 5100 per cercare di abituare il fisico alla nuova quota.

Sappiamo di “tirare” un po’ la corda per quanto riguarda l’acclimatamento, fino a ieri eravamo allegramente a quota mare…, ma non abbiamo grandi scelte. Il rifugio è accogliente e pulito ci si arriva tranquillamente con la macchina, molta gente viene ai piedi del vulcano per scattare delle foto ricordo.

Il nostro programma prevede di riposare fino alle cinque pomeridiane, per poi cenare e andare in branda fino alle nove /dieci di sera ora della partenza per la vetta.

Il giorno ha piovuto e nevicato a sprazzi, alla nostra partenza il cielo è pazzesco, limpido e con le stelle da  accarezzare… la temperatura è più che accettabile. Cominciamo a salire la pietraia alle dieci di sera, con un ritmo anche troppo allegro.

A circa 5250 si mettono i ramponi e si comincia ad arrampicare su un misto di ghiaia e roccia. Il cielo è intenso  e una vista sulle vallate sottostanti pazzesca, a differenza della nostre vette Alpine, qui i vulcani svettano e intorno a loro la vista copre decine di km. Quello che in aeronautica chiamiamo CAVOK.

Passo dopo passo la quota aumenta abbassando in proporzione l’ossigeno disponibile… La frontale illumina una porzione di neve davanti a te e un mare di pensieri si alternano nelle lunghe ed interminabili ore di salita. Il freddo comincia a farsi sentire, piú per la mancanza di ossigeno che per l’effettiva temperatura, non credo si sia mai arrivati sotto 3/4 gradi dallo zero.

Enrico, mio compagno di cordata, ha un po’ di mal di montagna e ne soffre da ormai qualche ora. Sono situazioni che si conoscono e bisogna stringere i denti e mettere un passo dietro l’altro.

Una crisi un po’più forte ci prende a circa 6000 metri, lo conforto  si riesce a gestire e a riprendere la salita che si fa sempre più ripida e con un vento gelido che trasporta granuli di ghiaccio che ci irriteranno gli occhi.

Raggiungiamo l’anticima dopo circa sette ore di ininterrotta salita sul pendio che raggiunge anche pendenze di 40/45°, le forze sono ormai un ricordo, bisogna andare avanti… a volte ci si ferma sulle ginocchia incapaci di proferir parola.


La cima, quella ufficiale quella vera è lì avanti a noi, siamo oltre i 6200 mt. Il fisico ci ha abbandonato da tempo, è solo il cuore e l’orgoglio che ti fanno sperare di scalare l’ultimo canalino a picozza e ramponi.

Sul panettone ghiacciato e spazzato dal vento, ci attende l’alba di un giorno fantastico: la vetta è nostra! È una soddisfazione aver ritoccato il mio personale di quota e in una salita con anche un minimo di aspetto tecnico.


La fotocamera ha l’obbiettivo indurito dal freddo, ma un paio di scatti riesco a farli. La discesa è un vero inferno… Scendiamo in circa tre ore tra scalini di ghiaccio e con un corpo che vuole  solo raggiungere una quota dove metabolizzare meglio il poco ossigeno disponibile.

In dieci ore circa saliamo e scendiamo il Chimborazo. Grazie a mie compagni e alla nostra guida della Julio vernes agenzia.

Rientriamo all’hotel shalom, vogliamo riposarci per affrontare il capodanno con le nostre famiglie.

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