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Registrazio, Cosmo e Umanità – Mosca, tra burocrazia e orbite basse

Fenice Expedition

Le previsioni sono perfette: pioggerellina fine e dieci gradi tondi.
Giornata ideale per affrontare quella che si rivelerà una delle missioni più improbabili del viaggio: ottenere il famigerato “registrazio”, un foglio che ogni straniero in Russia impara presto a temere e rispettare.


Operazione “Registrazio”

Adriano ci aveva indicato un indirizzo e qualche dritta utile, così partiamo fiduciosi.
Il traffico è gestibile, e il mio navigatore russo – preciso, fluido e soprattutto non bloccato continuamente dai soliti jammer militari – mi guida fino all’edificio giusto.
Costruzione severa, intonaco scrostato, bandiera sventolante e quell’odore inconfondibile di carta, sudore e burocrazia.

Dentro, una mappa vivente della complessità russa: corridoi infiniti, uffici con numeri che non seguono alcun ordine logico, sportelli dove il tempo pare essersi fermato.

Cerchiamo di spiegarci col traduttore: vogliamo solo regolarizzare la nostra presenza, ma le impiegate sembrano trovarci più buffi che problematici.
Il “registrazio” è obbligatorio, ma l’applicazione è caotica: gli hotel dovrebbero occuparsene, ma spesso preferiscono evitare responsabilità.

In Russia tutto funziona, ma a modo loro.
Ci sono i totem elettronici, le ricevute stampate su carta termica, i pagamenti in banca con bollettino manuale, e le firme: almeno tre, in ogni modulo.


L’angelo col passeggino

Quando ormai stiamo per desistere, appare lei: una giovane mamma col passeggino.
Parla inglese, sorride, e si offre di aiutarci.
Inizia un’odissea degna del miglior Gagarin: da un piano all’altro, con il bambino che resiste stoicamente mentre lei litiga in russo tecnico con gli impiegati.

Alla fine troviamo il funzionario giusto. Uomo d’ordine, sguardo rigido, uniforme perfetta.
Ci dice che non serve nulla: “avete il visto”.
Giulia – così la chiamerò – non si arrende: prende il telefono e chiama hotel dopo hotel per dimostrare che la teoria non funziona nella pratica.

Alla fine, il funzionario cede. Compiliamo i moduli, e lei – senza che glielo chiediamo – paga di tasca propria la tassa di 5.000 rubli a persona, praticamente una pseudo multa, invia il pagamento al terminale automatico, stampa tutto e ci consegna i documenti già timbrati.

Tre ore dopo usciamo con i fogli in mano, grati e increduli.
A volte la Russia è dura, ma sa anche essere straordinariamente umana.


Il Museo del Cosmo: dove la Terra finisce e il mito comincia

A pochi chilometri da lì, svetta un monumento di titanio e acciaio che si lancia verso il cielo come un razzo in partenza: è l’ingresso del Museo della Cosmonautica (Музей космонавтики).
Siamo nel cuore del VDNKh, il grande complesso espositivo che fu il vanto dell’URSS.

Dentro, il tempo si ferma e riparte insieme ai battiti del cuore:
si comincia con Laika, la cagnetta che nel 1957 fu il primo essere vivente a orbitare intorno alla Terra, a bordo dello Sputnik 2.
Una capsula spartana, senza possibilità di rientro, ma che aprì una frontiera impensabile.

Poi si incontra il modello dello Sputnik 1, il primo satellite artificiale mai lanciato nello spazio, il 4 ottobre 1957.
Un globo di alluminio lucidato a specchio, 58 centimetri di diametro e quattro antenne.
Pesava appena 83 chili, ma il suo beep-beep captato in tutto il mondo segnò l’inizio dell’era spaziale.
Quel suono, ascoltato nelle radio di mezzo pianeta, fu più potente di qualunque discorso politico.

Seguono i moduli Vostok, con le cabine pressurizzate in cui Yuri Gagarin – il 12 aprile 1961 – diventò il primo uomo nello spazio.
Il suo famoso “Поехали!” (“Andiamo!”) risuona ancora oggi in una registrazione che accompagna il visitatore tra manometri e leve originali.

Il museo prosegue con i programmi Soyuz e i laboratori orbitali Salyut e Mir, pietre miliari della tecnologia sovietica: veri prototipi, pannelli solari, tute pressurizzate e una ricostruzione perfetta del modulo abitativo della Mir.

È impressionante notare quanto fosse artigianale e robusta la tecnologia spaziale russa:
bulloni enormi, cavi intrecciati a mano, leve meccaniche. Niente touch screen, solo meccanica pura e ingegneria da officina.
Eppure, con quella semplicità apparente, hanno portato l’umanità nello spazio.


Il campeggio spaziale

Accanto al museo, un campeggio semplice ma funzionale: prato ordinato, docce pulite, prese elettriche, e un piccolo chiosco dove si può persino comprare il borsch.
Costo? Circa 10 euro a notte.
A due passi la fermata della metro VDNKh, che in venti minuti ti porta dritto nel cuore di Mosca.
È il posto perfetto per chi viaggia su quattro ruote e non vuole lasciare la propria “casa mobile” lontano dalla città.

Di notte, quando tutto tace e i lampioni illuminano la sagoma dell’obelisco spaziale, si respira un’atmosfera unica.
Quasi ti aspetti di vedere uno Sputnik attraversare il cielo.


Conclusione

Tra un modulo di registrazione e una capsula orbitale, la Russia continua a stupire.
È un Paese dove il tempo non scorre lineare: si passa dalla burocrazia sovietica all’orgoglio cosmico in poche ore.
Eppure, dietro la rigidità apparente, si nasconde una capacità unica di accoglienza e ironia.

La Fenice riparte anche stavolta con i documenti in regola e gli occhi pieni di stelle.

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